Articolo tratto da SiciliaInformazioni.it

C’è stato un tempo in cui facevo il presepe e credevo che i morti tornassero fra noi per portarci dei doni. Solo ai ragazzi, però, ed a quelli che se lo meritavano.Era la notte più bella dell’anno, si dormiva poco e niente, si stava con gli occhi chiusi perché sarebbe stata una brutta cosa sbirciare. Il mattino ci si alzava presto, naturalmente e si cercavano i doni, stanza dopo stanza, preferibilmente sotto i letti ed i divani, finchénon spuntava qualcosa che luccicava e ci faceva felici.Mentre i ragazzi scoppiavano di gioia, i cimiteri si riempivano di folla. Il regalo non era uno solo perché i defunti “importanti” della famiglia erano più d’uno. Cosa che dispiaceva affatto ai ragazzi. Mia madre aspettava che cominciassi a giocare ed apprezzare i doni e, al momento giusto, profittando che eravamo ben disposti ad ascoltare, ci raccontava di coloro che avevano portati i doni. Non avendo conosciuto i miei nonni, ho così potuto sapere di loro tante cose.Era un giorno di festa. Il 2 novembre in Sicilia non era tempo di lacrime e dolore. Per questa ragione si amava chi stava in cielo, per questa ragione i morti non ci hanno mai fatto paura e li abbiamo creduti accanto a noi, buoni e attenti ai nostri bisogni. Era grazie a loro che avevamo tanti regali, “pupi di zucchero”, paste di mandorla e altro. Quando credevo che i morti mi portassero doni andavo a messa, quella delle 10, la domenica, perché prima sarebbe stato troppo presto e alle 11 c’era la messa cantata che durava troppo.Conoscevo il latino del sacerdote. Non tutto, per carità, solo le espressioni più comuni ed utili. Quel tempo passò, non credetti più che i morti resuscitassero per una notte, ma questo non cambiò nulla perché era come se ci credessi. La notte dei morti mi comportavo allo stesso modo, così la mattina del 2 novembre rimase una festa a lungo. Con il trascorrere degli anni i regali si fecero più belli e utili. Finì anche quel tempo, com’è giusto che fosse, ma è finita pure la tradizione del giorno dei defunti, e questo è ingiusto.Le tradizioni non sono tutte eguali, ci sono quelle che fanno il loro tempo, ma ce ne sono altre, come la festa dei morti che non avrebbe dovuto essere abbandonata. Non c’è altro posto al mondo, come la Sicilia, in cui i morti portano regali ai bambini e si fanno amare. Certo c’è la Befana, Babbo Natale. Anche loro pensano ai più piccoli, ma non hanno niente a che vedere con i nostri cari. Sono una bella invenzione che fa star bene i bambini e concede loro di volare con la fantasia, ma non fa ricordare quelli che non ci sono più, non offre loro la memoria, l’amore per morti e, soprattutto, non cancella la paura che si ha dell’aldilà.La festa dei morti fa ritornare le persone che non ci sono, insegna la gratitudine ai bambini, fa loro conoscere le persone che hanno donato loro la vita. Se non ci fossero stati i nonni, non ci sarebbero stati i genitori. Lo scorso anno, il giorno dei morti mi trovano a Washington, a George Town, il luogo in cui la notte di Hallowen richiama un sacco di gente per le strade. Il mio pregiudizio verso Hallowen lo porto con me da un decennio ed a Washington si è irrobustito invece che scomparire.Ho assistito ad un carnevale: uomini, donne e bambini in maschera che sciamano per le strade. Le ragioni del pregiudizio verso Hallowen sono molte, ma quella vera è una sola: ha sostituito nel cuore dei nostri ragazzi la festa dei morti e mi fa una gran rabbia.

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